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Il Castello acquisito dal Comune

Nei giorni scorsi il Comune di Palma di Montechiaro ha acquisito al proprio patrimonio il Castello di Montechiaro, con un atto emanato ai sensi di una disposizione particolare e sin qui poco usata, prevista dal Testo unico sulle Espropriazioni (art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327).
 
La predetta norma consente agli enti pubblici che hanno il possesso di un bene in assenza di valido titolo, di acquisirlo al proprio patrimonio con un atto che autorizza la immediata trascrizione nei registri immobiliari, quando ciò sia giustificato dall' interesse pubblico prevalente su quello del privato proprietario.
 
Pertanto il Castello di Montechiaro, già espropriato dal Comune e dallo stesso posseduto sin dal 2001, tornato formalmente - nei fatti non si è interrotto il possesso da parte del Comune - ai privati a seguito di una sentenza del CGA di Palermo, che ha dichiarato nulla la procedura espropriativa, ritorna nella piena proprietà del Comune.
 
Il Castello di Montechiaro fu edificato da Federico III di Chiaramonte nel secolo XIV ed è l'unico dei castelli chiaramontani a sorgere in prossimità del mare. Dai Chiaramonte, attraverso alterne vicende, pervenne ai Caro di Licata e, da questi ultimi, alla famiglia Tomasi, fondatori e duchi della città di Palma. Bene monumentale di notevole valore storico ed architettonico, è stato sottoposto a tutela con i DD.AA. n. 6660 del 5.11.1992 e n. 5680 del 13.3.1993.

Il complesso monumentale versava, negli anni novanta del secolo scorso, in precarie condizioni statiche e non era adibito alla fruizione pubblica. Con varie deliberazioni il Consiglio comunale di Palma di Montechiaro aveva deciso di procedere al suo acquisto, ma non fu possibile raggiungere l'accordo con la Vallesinella s.a.s., proprietaria del bene.

Aggravatesi le condizioni statiche dell'edificio, nel 1995 e nel 1996 il Sindaco emanò alcune ordinanze, al fine di tutelare l'incolumità delle persone, disponendo di transennare l'edificio ed i luoghi circostanti ed inibendo l'accesso. In effetti l'edificio versava in condizioni statiche molto precarie, da decenni non vi erano stati effettuati lavori di manutenzione e giaceva in uno stato di totale abbandono. Interveniva anche la Soprintendenza di Agrigento, che a più riprese, tra il 1995 ed il 1997, ingiungeva ai proprietari di presentare urgentemente un progetto di restauro e di eseguire il restauro dell'immobile, minacciando di sostituirsi in caso di indampienza. Rimasta inerte la ditta proprietaria, interessata soltanto al prezzo di vendita del bene, la Soprintendenza avviò la redazione di un progetto per eseguire direttamente gli interventi urgenti necessari a scongiurare il disfacimento definitivo delle strutture dell'edificio, nel quale si verificavano quotidianamente crolli e cedimenti.

Nel dicembre 1999 si svolse una riunione nella sede comunale, con la partecipazione dell'allora Assessore regionale BB.AA.CC. e P.I., della Soprintendente e di funzionari della Soprintendenza, nella quale, avendo l'Assessore dichiarato di non poter garantire un finanziamento immediato e apparendo improcrastinabili, per scongiurare il crollo del castello, i lavori di restauro, il Sindaco prese l'impegno di chiedere al Consiglio comunale di finanziare con il bilancio comunale l'esecuzione dei lavori urgenti di restauro che la Soprintendenza stava progettando.

Il Comune di Palma di Montechiaro provvedeva pertanto ad approvare il progetto, ad affidare i lavori mediante appalto ed a svolgere la procedura espropriativa. I lavori sono stati eseguiti tra il 2002 ed il 2003, sotto la direzione della Soprintendenza. 

 

Contro la procedura espropriativa la ditta proprietaria ha proposto ricorso giurisdizionale al Tar. La sentenza n. 1646/2005, Sez 1 del T.A.R. Sicilia - Palermo, è stata impugnata dal Comune innanzi al C.G.A., che, con la decisione n.788 del dicembre 2006, da un lato ha riconosciuto per intero la legittimità dell'operato del Comune relativamente all'esecuzione dei lavori di restauro ed alla legittimità della procedura di pubblico interesse ad essi sottesa, dall'altro, contemporaneamente, ha dichiarato illegittima la procedura espropriativa, e ciò unicamente perché, nell'ambito della complessa e lunga procedura, risultava mancante un formale atto di comunicazione alla ditta proprietaria dell'avvio del procedimento espropriativo. Con la decisione del C.G.A. il Comune è stato condannato a restituire il Castello alla Vallesinella sas, quest'ultima è stata condannata a rimborsare al Comune i soldi spesi per il restauro, pari a 1 miliardo e 800 milioni di lire.

L'Amministrazione comunale, ora, si è avvalsa della procedura prevista dall'art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, per altro richiamata espressamente più volte nella stessa decisione del C.G.A, come possibile forma di acquisizione "sanante" del bene in questione ed ha acquisito il Castello di Montechiaro al proprio patrimonio indisponibile.

Per emanare il provvedimento di acquisizione, l'Amministrazione comunale ha chiesto ed ottenuto l'autorizzazione dell'Assessorato regionale dei BB.CC.AA. Il Codice dei Beni culturali, infatti, attribuisce la competenza ad espropriare beni culturali all' Assessorato regionale dei BB.CC.AA., che può delegare anche i Comuni. Con provvedimento del Direttore regionale dei Beni culturali, dott. Romeo Palma, l'assessorato ha autorizzato il Comune a procedere all'acquisizione, sulla base di favorevole relazione, con la quale la Soprintendenza di Agrigento ha, tra l'altro, attestato 1) che il Castello di Montechiaro è un bene di grande importanza e valore; 2) che la ditta proprietaria, fino a quando ha avuto la disponibilità del bene, ha omesso di effettuare i necessari interventi di manutenzione, disattendendo le ingiunzioni della Soprintendenza; 3) che il Comune ha svolto tutte le procedure dell'appalto e dell'espropriazione di concerto con la Soprintendenza, che ha progettato e diretto i lavori; 4) che il Comune ha effettuato legittimamente, con propri fondi ed in sostituzione dei proprietari, i lavori di consolidamento e restauro dell'immobile, a seguito dei quali il bene monumentale è stato salvato dal pericolo della distruzione completa e oggi è adeguatamente tutelato e destinato alla fruizione pubblica, conformemente alle finalità d'uso contenuti nei decreti di tutela.

Il provvedimento di acquisizione, come prevede la legge, è stato emanato dal Capo settore UTC, arch. Luigi Sferlazza, nella qualità di responsabile delle espropriazioni. Esso è stato preceduto da una apposita direttiva del Sindaco e, prima dell'adozione, è stato approvato dalla Giunta Municipale, che ha provveduto anche all'impegno di spesa. Il Sindaco, nell'ordinare all'ufficio di procedere alla emanazione dell'atto, ha sottolineato le seguenti motivazioni di interesse pubblico da porre abase dell'atto: mantenere alla pubblica fruizione, in adeguate condizioni di tutela e di decoro, uno dei più importanti beni architettonici del Comune e dell'intera Sicilia; continuare l'azione di restauro - di cui è stata svolta soltanto la prima fase, finalizzata a salvare dal crollo le strutture superstiti - per ricostruire le parti crollate e ripristinare lo splendore originario del venerando edificio; mantenere al Comune la proprietà di un bene che, già aperto alla pubblica fruizione ed adeguatamente utilizzato per gli scopi di interesse pubblico che il Comune persegue, rappresenta un valore aggiunto notevole per la promozione turistica della città; giustificare l'ingente sacrificio fatto dal Comune e, per suo tramite, dall'intera comunità cittadina, per la spessa sostenuta per finanziare il restauro.

Il provvedimento di acquisizione è stato formulato in modo molto ampio ed articolato e consta di 24 pagine. In esso viene ricostruita tutta la vicenda e l'acquisizione viene giustificata con varie motivazioni, con le quali il Comune dimostra la prevalenza dell'interesse pubblico su quello dei privati proprietari, che sostanzialmente si possono articolare in quattro punti:
 

  1. Che i privati avevano ridotto il castello in un rudere pericolante, senza mai effettuarvi anche il più piccolo intervento di manutenzione, lasciando l'edificio nel totale abbandono e con il pericolo incombente della distruzione completa; il Comune, al contrario, lo ha salvato dalla distruzione ed ha effettuato il primo, seppur parziale ma comunque rilevante intervento organico di restauro, che è valso a salvarlo dal pericolo della distruzione completa. Nell'atto sono analiticamente documentate tutte le inadempienze della proprietà nei confronti del bene sottoposto a tutela.
  2. Che in conseguenza dei lavori di restauro il bene è stato modificato radicalmente: era un rudere, quasi un ammasso di pietre, oggi è tornato ad essere il castello, ben altra cosa dell'immobile espropriato. Inoltre il Comune ha gia programmato altri lavori per il completamento del restauro, la dotazione di nuovi arredi, la sistemazione della strabella di accesso e l'ampliamento e la sistemazione degli spazi pubblici circostanti, sui quali vige altro vincolo di tutela paesaggistica.
  3. Che il Castello non aveva mai avuto una pubblica fruizione, fatta eccezione per la festa della Madonna, anche questa sospesa dal 1995, per i pericoli di crolli. Oggi, da quando sono stati ultimati i lavori di restauro, il Castello è aperto alla pubblica fruizione, ha ospitato importanti manifestazioni culturali ed altre sono state programmate e sono in corso di programmazione a partire dalla imminente festa della Madonna del Castello. 
  4. Che il Castello, pertanto, è già diventato uno dei beni più importanti per la vita culturale della città e per la promozione turistica, economica e di immagine della città stessa e del suo territorio e ne conseguirebbe una danno grave per l'interesse pubblico se dovesse ritornare ai privati.


Nell'atto è precisata la disposizione della immediata trascrizione nei registri immobiliari, cosa già effettuata, e di procedere al pagamento, entro un mese, del risarcimento ai privati, per l'importo di poco meno di € 192.000.

 
 
il Castello di Montechiaro
Il Castello di Montechiaro del secolo XIV dopo il restauro