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Voci del Sud 2009

La locandina di Voci del Sud
Voci del Sud 2009

L'opera letteraria di Antonio Russello - Palazzo ducale, 18 ottobre 2009, ore 18

Il secondo appuntamento di Voci del sud, è dedicato allo scrittore Antonio Russello, poco conosciuto, nonostante sia uno degli scrittori siciliani più importanti del '900.
Nasce a Favara il 19 agosto 1921. Emigra al nord, insegnando lettere italiane a Treviso e nella Marca trevigiana. Muore a Castelfranco Veneto nel 2001.
Viene scoperto da Elio Vittorini che, nel 1960, gli pubblica presso Mondadori il romanzo La luna si mangi i morti. Tre anni dopo esce La grande sete, un romanzo che si inserisce a pieno titolo nella narrativa siciliana più alta. Sempre nel 1963 esce il volume di racconti Siciliani prepotenti. Seguono Giangiacomo e Giambattista (1969, ripubblicato nel 2002 con il titolo L'isola innocente) , molti anni dopo, nel 1985, Venezia zero e Lo sfascismo.
Russello scrive anche numerosi testi teatrali, alcuni dei quali rapresentati: Ruderi (1946), La terra (1946), Racconto dalla luna (1973), La ballata degli uomini verdi (1975), Lo specchio (1985), Inventare i nanetti (1985).
Tutte le opere sono state ripubblicate in anni recenti dall'editrice trevigiana Santi Quaranta.
Ha scritto Leonardo Scascia (su L'Ora del 3 marzo 1961)
" (...) Ed ecco ora un romanzo, scritto da un favarese e che si svolge a Favara: La luna si mangia i morti di Antonio Russello (Milano, Mondadori 1960). Una Favara trasfigurata, favolosa, di incantata memoria; eppure, così mitica e favolosa e lontana, una Favara più vicina a quella delle cronache giudiziarie e del libro di Renato Candida che a quella delle ultime pagine de I vecchi e i giovani di Pirandello: il paese, insomma, della mafia e dei banditi e non quello della protesta sociale.In una breve premessa, Antonio Russello dice: "Questo libro è stato scritto nel 1953 in provincia di Padova e il paese a cui mi riferisco è Favara di Agrigento... Ora io penso che si può essere fedeli a se stessi, solo quando l'ispirazione ci riporti sempre alla stessa terra, ci schiacci sempre sotto quell'urgere di terra e cielo e sangue i quali, come destino, perciostesso che continuamente premono, vogliono essere placati come spiriti cattivi, con l'evocarli"; parole in cui è già l'essenza di favolosa "superstitio", di ballata evocativa, del romanzo. Si può anzi dire che bastano le parole "sangue" e "destino" a far da chiave al libro, alla leggendaria Sicilia che ci viene incontro dalle sue pagine. Una Sicilia che vive nella dimensione delle pitture dei carretti, e dei carretti e dei teloni dei cantastorie: vivida di colori, fitta di personaggi, schematicamente drammatica, appena sfiorata dalla storia. E' la Sicilia di una "gitaneria" senza tempo, che anarchicamente (ma di un'anarchia da sottoproletariato: come appunto quella dei gitani in Lorca) si oppone al carabiniere. Insomma: un mondo che ha i suoi precedenti in LOrca e non, come qualcuno ha detto, in Verga. (...) Presto o tardisi doveva arrivare, combinandosi una nativa vena di "gitaneria" siciliana agli influssi del lorchismo, a questa accesa rutilante favola della Sicilia".

In una breve premessa, Antonio Russello dice: "Questo libro è stato scritto nel 1953 in provincia di Padova e il paese a cui mi riferisco è Favara di Agrigento... Ora io penso che si può essere fedeli a se stessi, solo quando l'ispirazione ci riporti sempre alla stessa terra, ci schiacci sempre sotto quell'urgere di terra e cielo e sangue i quali, come destino, perciostesso che continuamente premono, vogliono essere placati come spiriti cattivi, con l'evocarli"; parole in cui è già l'essenza di favolosa "superstitio", di ballata evocativa, del romanzo. Si può anzi dire che bastano le parole "sangue" e "destino" a far da chiave al libro, alla leggendaria Sicilia che ci viene incontro dalle sue pagine. Una Sicilia che vive nella dimensione delle pitture dei carretti, e dei carretti e dei teloni dei cantastorie: vivida di colori, fitta di personaggi, schematicamente drammatica, appena sfiorata dalla storia. E' la Sicilia di una "gitaneria" senza tempo, che anarchicamente (ma di un'anarchia da sottoproletariato: come appunto quella dei gitani in Lorca) si oppone al carabiniere. Insomma: un mondo che ha i suoi precedenti in LOrca e non, come qualcuno ha detto, in Verga. (...) Presto o tardisi doveva arrivare, combinandosi una nativa vena di "gitaneria" siciliana agli influssi del lorchismo, a questa accesa rutilante favola della Sicilia".
La luna si mangia i morti di Antonio Russello (Milano, Mondadori 1960). Una Favara trasfigurata, favolosa, di incantata memoria; eppure, così mitica e favolosa e lontana, una Favara più vicina a quella delle cronache giudiziarie e del libro di Renato Candida che a quella delle ultime pagine de I vecchi e i giovani di Pirandello: il paese, insomma, della mafia e dei banditi e non quello della protesta sociale.In una breve premessa, Antonio Russello dice: "Questo libro è stato scritto nel 1953 in provincia di Padova e il paese a cui mi riferisco è Favara di Agrigento... Ora io penso che si può essere fedeli a se stessi, solo quando l'ispirazione ci riporti sempre alla stessa terra, ci schiacci sempre sotto quell'urgere di terra e cielo e sangue i quali, come destino, perciostesso che continuamente premono, vogliono essere placati come spiriti cattivi, con l'evocarli"; parole in cui è già l'essenza di favolosa "superstitio", di ballata evocativa, del romanzo. Si può anzi dire che bastano le parole "sangue" e "destino" a far da chiave al libro, alla leggendaria Sicilia che ci viene incontro dalle sue pagine. Una Sicilia che vive nella dimensione delle pitture dei carretti, e dei carretti e dei teloni dei cantastorie: vivida di colori, fitta di personaggi, schematicamente drammatica, appena sfiorata dalla storia. E' la Sicilia di una "gitaneria" senza tempo, che anarchicamente (ma di un'anarchia da sottoproletariato: come appunto quella dei gitani in Lorca) si oppone al carabiniere. Insomma: un mondo che ha i suoi precedenti in LOrca e non, come qualcuno ha detto, in Verga. (...) Presto o tardisi doveva arrivare, combinandosi una nativa vena di "gitaneria" siciliana agli influssi del lorchismo, a questa accesa rutilante favola della Sicilia".


Ha scritto Matteo Collura (postfazione a La luna si mangia i morti)"Chiuso questo libro mi è venuto da chiedermi quanti romanzi inutili, sulla Sicilia, sui siciliani, avrei scansato se lo avessi letto nei miei anni formativi. (...) Non essendo venuto ad affinarmi il palato, questo malinconico, agreste gioiello narrativo di Antonio Russello, proprio in quella stagione della vita in cui si divorano, più che gustarli, cibo, amori e le letture.(...)
Una conferma da questo romanzo d'esordio: Antonio Russello è un narratore vero, di quelli cui basta poco per incantare; e da consumato narratore ci restituisce un mondo, quello che il cinema nei suoi anni più fecondi, al pari della grande e meno prolifica letteratura, è riuscito a documentare. Ho accennato alla malinconia che pervade questa storia di paesani e assolate campagne, di insistiti profumi; una malinconia che, pagina dopo pagina, si fa musica, melodia a volte struggente a volte epica. In questo La luna si mangia i morti i lettori della mia età ritroveranno immagini del più tipico cinema western. Un critico, se davvero è tale, deve tener conto anche di questo, deve accorgersi anche di questo. Se non lo fa è perché ha vissuto solo di libri, trascurando la meravigliosa realtà che i libri - questo si - ci aiutano ad assaporare. Si rilegga il seguente brano e se ne avrà evidentissima conferma: "La banda non ebbe nemmeno tempo d'attaccare la prima mazurca, che da tutti i vicoli che sbucavano nella piazza, con spari nell'aria, ci fu la sortita dei cavalli dei banditi, che chiusero i festanti e i carabinieri in un cerchio, sotto le canne da fuoco; la musica cessò, i carabinieri illividirono, sul centro della pista balzò il cavallo bianco e Verdone sopra, girando nel dito la rivoltella, e gridò alla musica di continuare, alle coppie di ballare..."


Ha scritto Salvatore Ferlita (prefazione a La luna si mangia i morti)"Ne viene fuori un'accesa, rutilante favola della Sicilia, per dirla ancora con Sciascia; una favola nera però quasi picaresca, se si pensa alla banda di ragazzi di cui fa parte il protagonista, che scorazza per le campagne, va a caccia di lucertole, si nasconde al passo dei gendarmi; una favola narrata dall'autore attraverso una prosa guizzante e nervosa, segnata da non poche cadenze auliche, rarefatte, e che presenta torsioni sintattiche a volte inaspettate. Una scrittura ricca di anacoluti, con un'impressionante frequenza di prolessi, che spesso conferisce alle frasi l'animosità del discorso vissuto."

 
 
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